Lettori e lettrici di “In Viaggio Con Stendhal”, compagni di viaggio di diverse avventure.
Fino ad oggi, abbiamo percorso il sentiero che ci ha riportati alle origini di diversi piatti legati alla cucina milanese. L’Ossobuco, la Cotoletta e via discorrendo.
Ogniqualvolta ci siamo trovati a rispolverare le vicende che hanno portato sulla tavola del nostro ristorante alcuni tra i più famosi piatti della tradizione meneghina, ci sono sempre venuti in aiuto ricettari, manoscritti e testimonianze di grandi cuochi appartenenti ad epoche ormai passate.
È a loro che oggi dedichiamo questo nuovo appuntamento, perché è merito di questi nostri eroi se oggi possiamo sederci al tavolo, ordinare la Cotoletta Stendhal o assaporare una gustosa selezione di mondeghili.
Prima di cominciare, però, è bene riportare alla vostra mente uno dei nostri primi insegnamenti in merito alla cucina milanese: essa appartiene, originariamente, a diverse culture.
Sebbene il rigore ci imporrebbe di esplorare anche manoscritti risalenti ai territori esteri che hanno influenzato la nostra cucina, in funzione di una più fluida narrazione, saremo costretti a cominciare il nostro viaggio direttamente sul suolo lombardo, laddove si mostrano alcune tracce della cucina milanese tradizionale.
La storia della cucina milanese attraverso i suoi ricettari
La prima tappa del nostro nuovo itinerario è la casa di un conte, filosofo e letterato lombardo.
Il suo nome è Pietro Verri.
Non un famoso cuoco e, per quanto ci è dato sapere, neanche un dilettante della cucina, ma un uomo dalla grande sete di sapere.
A lui viene attribuita la creazione, nel 1700, di una delle prime guide su Milano.
“Storia di Milano” nasce con l’intento di narrare le svariate vicende della città, comprendenti cultura, diletto e, naturalmente, cucina.
Proprio al suo interno, appare una delle prime menzioni ufficiali alla Cotoletta alla Milanese.
Dall’enciclopedia per eccellenza sulla storia milanese passiamo ora a “La cucina per stomaci forti”, manuale a sfondo satirico redatto dal Dottor Angelo Rubini.
Sebbene questo personaggio non abbia ottenuto, nei libri di medicina odierni, un proprio spazio, negli anni Trenta del 1800 la sua opinione ha avuto una notevole influenza su diverse cucine.
Il motivo della fama del Dottor Rubini era dovuto al volume sopra indicato in cui, purtroppo, erano stati inseriti anche i nostri amati mondeghili, bollati come un piatto da evitare se consumato fuori casa.
Nonostante l’intento originario fosse quello di screditare il piatto, la sua presenza nella letteratura permise alle nostre polpette di perdurare, arrivando sui tavoli del nostro ristorante milanese 200 anni più tardi.
La cucina del Sorbiatti
Nel 1879, l’attenzione culinaria milanese prende le distanze dal testo di Rubini, virando verso “Il memoriale della cuoca”, un trattato di stampo culinario redatto dal più famoso cuoco dell’epoca: Giuseppe Sorbiatti.
In una passata avventura, abbiamo ripercorso i suoi passi per far luce sulle origini della ricetta dell’Ossobuco alla Milanese, piatto del quale Sorbiatti è considerato uno dei padri.
Dopo aver cucinato per Napoleone, diversi duchi ed essere stato capo cuoco al Grand Hotel De Milan, lo Chef Sorbiatti decide di riunire tutto il suo sapere in un unico libro,“Il Memoriale della cuoca”.
Al suo interno, vengono custodite la ricetta completa dell’Ossobuco, della Cotoletta alla Milanese e di svariati altri piatti che noi di Stendhal serviamo ancora oggi.
In seguito, Artusi pubblicherà un secondo trattato sulla cucina, che prenderà il nome di “Gastronomia Moderna”
L’ultimo manoscritto che andremo ad esplorare oggi appartiene ad Artusi Pellegrino, che detiene il primato di aver pubblicato il libro di ricette più longevo della Lombardia, nonché la prima trattazione gastronomica d’Italia.
Sebbene il titolo ufficiale sia “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, ai più passa sotto il nome dell’Artusi.
Questo ricettario è stato aggiornato periodicamente sino ai giorni nostri, permettendo, dopo centoundici riedizioni, di trasferire ai cuochi moderni, tra cui i nostri, la destrezza culinaria dell’Artusi.